Trenta buonissimi motivi per (ri)ascoltare il leggendario album ‘Ten’ dei Pearl Jam nel suo trentesimo anniversario
- Eddie Vedder che sussurra ‘you think I got my eyes closed but I’m looking at you the whole fucking time’ sul finale di ‘Once’
- La produzione di Rick Parashar, sciagura che non riesce a rovinare un capolavoro
- Il riff di ‘Alive’
- McCready che impazzisce con pedali e distorsioni in ‘Deep’
- L’attacco di ‘Porch’, 15 secondi di estasi elettrica
- ‘Yellow Ledbetter’, che sul disco non ci è nemmeno finita
- La copertina ‘uno per tutti, tutti per uno’ ideata da Ament in collaborazione con il fotografo Lance Mercer
- L’assolo di McCready in ‘Even Flow’, palestra per esibizioni da autentico guitar hero in mille concerti
- Il basso violentemente funky di Ament in ‘Why Go’
- L’opera di remix firmata da Brendan O’Brien nel 2009
- Vedder che mormora ‘father’ a 9 secondi dall’inizio di ‘Release’, nascosto dall’entrata graduale di chitarra e basso
- Ci sono undici canzoni in un disco che si intitola ‘Ten’
- La band al completo che riemerge dal caos a metà di ‘Deep’ quando Vedder canta ‘on the edge of a Christmas clean love’
- Ha quasi scalzato Billy Ray Cyrus dalla vetta delle classifiche di vendita statunitensi, ponendo così fine, almeno per un periodo di tempo, alla barbarie del country contemporaneo
- Il rifiuto da parte della band di usare ‘Black’ come singolo
- Nove canzoni su undici hanno un titolo formato da una sola parola, con ‘Even Flow’ e ‘Why Go’ si arriva addirittura a due
- Gli effetti utilizzati sulla voce di Vedder in ‘Oceans’
- Non averlo nella propria collezione si configura come crimine contro l’umanità
- È un disco rock della durata di oltre 53 minuti in cui non viene mai pronunciata la parola ‘baby’
- È forse il miglior disco del 1991, anno in cui sono usciti, tra gli altri, ‘Nevermind’, ‘Out Of Time’ e ‘Badmotorfinger’
- Vanta la miglior collector’s edition nella storia recente della musica
- McCready posseduto dallo spirito di Stevie Ray Vaughan sull’assolo di ‘Why Go’
- Dentro ci trovate Dio travestito da Stone Gossard
- L’entrata perentoria, quasi marziale di Krusen su ‘Jeremy’
- Ascoltare ‘Black’ in cuffia, in solitudine, molto tardi la sera
- È uno dei pochissimi dischi in cui, a livello di qualità, c’è poca o nessuna differenza tra il ‘lato A’ (fino a ‘Black’) e il ‘lato B’ (da ‘Jeremy’ a ‘Release’)
- Rimane la colonna portante della scaletta di ogni concerto dei Pearl Jam
- I tre singoli trainanti parlano di drammatici confronti genitore/figlio, vagabondaggio e ragazzini che compiono stragi atroci per poi suicidarsi
- È l’esordio e allo stesso tempo l’apice dell’unica band sopravvissuta all’uragano grunge
- La nostalgia, purché passeggera, non è un reato (e non lo è nemmeno piangere al milionesimo ascolto di ‘Release’)
Dario Costa